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      Alcuni si arrabbiarono e rifiutarono decisamente di fare il deposito; cosí si fregava le mani per l'allegrezza; altri aderirono a condizione di non rinunziare al menomo loro diritto, compreso quello di promuovere, se del caso, la dichiarazione di fallimento. Vi fu un nuovo scambio di lettere ed alla fine il vecchio bottaio consentí alle proposte riserve, sicché i creditori piú benevoli, in seguito a tale concessione, persuasero anche i piú caparbi. Si fece il deposito, e non mancò chi si permise di osservare a des Grassins che il suo amico pareva che si burlasse di loro. Si perdettero cosí ventitre mesi, e molti commercianti, distratti nel moto vertiginoso degli affari, dimenticarono quel che avevano da ricuperare contro l'eredità di Guglielmo, o se ne rammentarono per concludere entro di loro che tutto sarebbe finito con la percentuale ricevuta. E il vignarolo infatti contava assai sulla forza del tempo, che, secondo lui, era un buon diavolo.
      Sul termine del terzo anno des Grassins scrisse a Grandet che i creditori si sarebbero accontentati del dieci per cento sul residuo debito di due milioni e quattrocentomila franchi, e questi rispose che vivevano tuttora il notaio e l'agente di cambio, il cui fallimento aveva prodotto la rovina e la morte del fratello; che forse eran ridivenuti solvibili e si doveva quindi agire contro di loro per trarne quanto piú fosse possibile a diminuzione del deficit. Trascorse un altro anno, e si propose di ridurre il passivo a metà. Durarono un semestre le trattative fra liquidatori e creditori, e fra Grandet e liquidatori, ed alla fine, verso il nono mese, egli fece sapere che suo nipote si era arricchito nelle Indie e aveva scritto di voler pagare integralmente i debiti del padre; che perciò non credeva di assumere la responsabilità di quell'accordo senza speciale autorizzazione di cui era in attesa.


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Eugenia Grandet
di Onorato di Balzac
pagine 215

   





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