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      Qualche volta, sull'alba, destato di soprassalto da un'insopportabil tensione dello spirito - e, anche, del corpo - egli si chiedeva esterrefatto:
      - Cosa sono, dunque, e a che valgono le virtù di un'anima ben macerata, se non riescon neppure a moderare i movimenti di questo involucro di carne?
      Altre volte, durante il giorno, còlto di sorpresa da qualche spettacolo allettatore, sostava gemendo:
      - Perché il vizio si presenta sotto così leggiadre forme e non, piuttosto, con l'edificante aspetto di una pingue zia Sofonisba?
      Ma le notti costituivano il suo maggior supplizio, poiché si popolavano quasi sempre di immagini purpuree stagliate sovra un orizzonte di fuoco e lo costringevano ad agitarsi nell'incubo e a fare il letto ricettacolo di quei trasudamenti di febbre.
      - Io mi trovo in stato di peccato!, singhiozzava, destandosi, l'infelice adolescente: e il mio peccato è ancor più riprovevole, poiché la volontà, invece di ostacolarlo, ne diviene complice!
      Un mattino, mentr'egli volgeva le più aspre rampogne al maggior responsabile del cruccio, Undimilla, vergine cugina, irruppe nella camera e, con piè veloce e scrosci di risa, si frappose tra l'accusatore e il reo. Poiché il cuore di Macario tanto era propenso alle confidenze, quanto poco appariva disposta la fanciulla ad allontanarsi per non udirle, una fiumana di commosse lamentele non tardò a sgorgare dalle labbra del giovane martire, mista a parole di sincero pentimento e a fermi propositi di espiazione. Undimilla, adesso, non rideva più: anzi, per dimostrare sino a qual punto partecipasse al salutifero odio verso le manchevolezze della carne, con pupille pregne di una sempre maggiore minaccia guatava il corpo del delitto.


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Il beato Macario
Romanzo mattacchione
di Pierangelo Baratono
pagine 59

   





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