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      La stanza era angusta, trasandata e d'umil mobilio; ma la specchiera, appesa ad una parete, si mostrava ampia e tersa e di gran pregio: e aveva, anche, il dono della favella, tant'è vero che cominciò a dire:
      - Odi, o garzone. Che tu rimanga lì imbambolato a guardarmi, poco o nulla m'importa; ma che tu faccia codeste smorfie, no, veramente, non è tollerabile. E odi ancora. Molti macachi, ho conosciuti: e, tuttavia, mai ne vidi alcuno, che ti valesse. Ritorna, figliuolo, ritorna nella foresta e scegli, come alloggio, una pianta. Giuro che gli altri scimmiotti ti eleggeran subito principe. Che pensi? Di diventare vezzoso facendo codeste boccacce? Sbagli, sbagli, o garzone. O, per lo meno, rischi di metterti sopra una falsa strada.
      La specchiera doveva esser gonfia di parole; e avrebbe continuato a discorrere un pezzo. Ma, in buon punto, le furon troncati da Macario il sermone e il respiro.
      - Oh, dunque, cosa puoi rimproverarmi? Se ancora dimostro qualche impaccio da bennato giovine di provincia, e tu incolpane Undimilla vergine che, sino a ieri, mi tenne vincolati il corpo e la volontà. Ho diciott'anni, diciott'anni, comprendi? E sono venuto nella grande città, provvisto di un gruzzolo e di saggi consigli, appunto per svincolarmi e disimpacciarmi. Il gruzzolo me lo diede mia madre; e i saggi consigli li devo a un venerando esculapio, il quale, dopo aver esaminato accuratamente il mio fisico, parlò in questi termini all'anima: "I palliativi, nelle malattie gravi, sono dannosi e non utili.


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Il beato Macario
Romanzo mattacchione
di Pierangelo Baratono
pagine 59

   





Macario Undimilla