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      L'altrui fortuna, accumulandosi nelle mie casseforti, dipende da un semplice cenno di questa mano ingemmata. E l'umanità, sotto il giogo, ara per me le terre, dalle quali il mio ozio trae pane.
      - Accogli con modestia i doni del cielo!, rimbrottò mite Macario.
      - Cosa vai cicalando, o uomo?, gridò un alto funzionario. Ben è vero che questo banchiere merita biasimo, poiché le lodi, ch'egli prodiga a sé stesso con tanta improntitudine, appaion sciocche se si pensi alla lor bassa origine. Cos'è, infatti, il denaro se non un semplice mezzo di scambio per i volgari bisogni del civile consorzio? Ma il civile consorzio non su quello s'impernia, bensì sovra la mia opera di regolatore delle universali faccende. Guai se interrompessi quest'opera! Il carro sociale s'incaglierebbe: e la fiaccola della discordia incendierebbe il legname di cui esso è composto. Io solo, dunque, ho diritto d'inorgoglirmi, poiché le fatiche degli uomini si svolgon sotto la guida del mio ozio oculato.
      - Sii modesto nella felicità!, implorò Macario.
      - Cosa vai cicalando, o poveretto!, disse un gazzettiere. Certo, ridicolo è un funzionario, se drizzi la cresta e guardi, come dall'alto di un trono, il mondo; poiché la sua potenza, basata sovra il mutevol criterio degli uomini, si risolve in fumo. Ma, a ben considerare le cose, solo noi gazzettieri avremmo il diritto d'inorgoglirci, essendo noi soli i timonieri della pubblica opinione e, quindi, dell'ordine sociale e dei patrimonii individuali. Sappia, dunque, l'umanità onorarci: e continui docile a nutrirsi delle nostre parole e a cibare, in tal modo, il nostro ozio illuminato.


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Il beato Macario
Romanzo mattacchione
di Pierangelo Baratono
pagine 59

   





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