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      Subito, dall'albergatore all'ultimo mozzo di stalla, tutti seppero di aver da fare con una persona ragguardevole. Il nostro uomo continuò a dormire nella camera più bella e a mangiare le più appetitose pietanze. A volte, discorrendo, si lasciava sfuggire qualche parola compromettente. Diceva: Sua Eccellenza tale, mio vecchio amico....; oppure: Il duca tal altro, che la pensa così.... Ma subito, riprendendosi, mutava discorso o taceva. Solo con l'albergatore, durante un colloquio intimo, si sbottonò un poco: non rivelò il casato gentilizio; però fece capire, alla larga, che viaggiava in incognito a causa di una certa moglie, gelosa come una tigre e alla quale egli aveva dato a bere un viaggetto niente popò di meno che in Cina. Spesso batteva famigliarmente con la mano inguantata sovra una spalla di quel suo confidente, esclamando: "Dovrei pagarvi, ma non ho un soldo in tasca; ho soltanto un libretto di conto aperto. E mi rincresce di sporcare un foglio per simili inezie". L'altro, fra mille salamelecchi, rispondeva: "Per carità! Padronissimo! Padronissimo!". E amici più di prima.
      Quel diavolo di libretto era un tormento. Ogni giorno il nostro uomo doveva chieder moneta spicciola ora a questo cameriere ora a quello. E spesso era obbligato a ricorrere, per più grosse somme, alla borsa dell'albergatore. "Pensate!, brontolava; sciupare un foglio per simili inezie!" E l'altro lo approvava con la testa, col dorso e, se avesse potuto, anche coi piedi. C'era il tornaconto, perbacco! E poi, brillava, fra cielo e terra, una certa croce di cavaliere, che, se Sua Eccellenza incognita avesse alzato un dito.


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Commenti al libro delle fate
di Pierangelo Baratono
Fratelli Treves Milano
1920 pagine 119

   





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