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      Egli soleva dichiarare che i doni della fortuna sono disprezzabili e inviliscono, anzichè elevarlo, chi li riceva, se costui non sia uomo da saper, all'occasione, valersene in vantaggio del prossimo. E aggiungeva sospirando che le maggiori virtù e le più istruttive conversazioni si trovano avvicinando gli individui nè troppo in alto, nè troppo in basso per nascita e censo. Questi discorsi, uscendo dalla bocca di una, benchè incognita, eccellenza, accaparravano tutti i cuori. Ad accrescere, poi, la stima, si aggiungeva la notizia, rapidamente diffusasi, che il nostro uomo, pur essendo ricco e possedendo una cassaforte grande come un palazzo, non negasse i propri consigli e l'aiuto per il proficuo collocamento degli altrui capitali. Qualche alto impiegato, che teneva presso di sè un peculio posto da parte a furia d'economie mensili e fossilizzato in cartelle di rendita, tastò pel primo il terreno: e si vide accolto con tanta paterna affabilità da indursi a convertir subito le cartelle in denaro e a insinuare questo, con l'atteggiamento di chi sappia di offrire assai poco, fra le benefiche dita. Molti funzionari seguirono, ben presto, l'esempio. E la lampante onestà e certa ricchezza del nostro uomo non tardarono a smuovere anche gli animi, più induriti, dei negozianti provvisti di segrete risorse.
      L'incognita eccellenza non si contentava, nel suo entusiasmo umanitario, di accumulare i modesti risparmi per collocarli, poi, nelle grandi imprese; ma agevolava anche il passaggio degli oggetti preziosi dalle mani povere e superbe in quelle facoltose, e la formazione di dolci nodi matrimoniali tra creature, divise dal caso e riunite sia da una comune convenienza, sia dal provvido intervento dell'illustre benefattore.


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Commenti al libro delle fate
di Pierangelo Baratono
Fratelli Treves Milano
1920 pagine 119