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      Ognuno di noi è, indubbiamente, un caposcuola. Ma non c'è proprio sugo a esser capi di una scuola senza discepoli.
      - Oh, se le donne non si sconciassero così facilmente!, - piagnucolò il musico.
      - Oh, se le pance degli uomini non fossero tanto fragili!, - mugghiò il pittore.
      - Oh, se non esistessero manicomi!, - sentenziò il filosofo.
      La candela diede un guizzo d'agonia.
      - Lasciatemi parlare liberamente, fratelli, - proseguì il poeta, - poichè il tempo stringe e il buio non è propizio ai discorsi troppo ponderati. Un rimedio ci sarebbe: e in quattro e quattr'otto ve lo espongo. Compriamo qualche metro di tela da imballaggio, poche assi, e giriamo di città in città, di contrada in contrada. Sovra ogni piazza faremo una sosta, innalzando il nostro baraccone. Io chiamerò la gente, il musico suonerà la gran cassa vestito da saltimbanco, il pittore farà esercizi atletici camuffato da orso e il filosofo si armerà di un astrolabio e d'una vestaglia da mago. Allorchè il pubblico sarà dentro, o di riffe o di raffe dovrà ben aprire gli occhi e le orecchie.
      - Ma riderà!, - tentò di obiettare il pittore.
      - Si stancherà prima di noi, - ribattè il poeta.
      Fu chiamato l'oste, che presenziasse al giuramento solenne di alleanza per la vita e per la morte fra i quattro. Le mani erano ancor tese, allorchè un soffio impetuoso di vento penetrò dalla finestra e sollevò le camicie dei congiurati facendone ondeggiare i lembi a guisa di stendardi trionfali.
      - Ecco il segno del destino, - esclamò il poeta: - esso ci impone di dare al nostro cenacolo il nome di Accademia del vento.


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Commenti al libro delle fate
di Pierangelo Baratono
Fratelli Treves Milano
1920 pagine 119

   





Accademia