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      Il giovane sonnacchioso non stava più nella pelle per la contentezza. Gonfiava l'esile torace, allungava il collo smilzo per sembrare più alto, faceva sfavillare gli occhietti tra la flaccidità delle palpebre.
      - Ho scoperto pel primo le bellezze del ramarro; dunque, valgo più di tutti, - pensava.
      Meditò un giorno e una notte sull'avventura e, alla fine, concluse:
      - Poichè sono un giudice così prodigioso, bisogna che il mondo intiero mi ammiri.
      E abbandonò il villaggio natìo, recando seco tre fazzoletti e duemila cartoncini rettangolari con tanto di nome e cognome: mille portavano stampato, sotto il nome, "L'unico genio vivente"; negli altri si leggeva, "Un buon figliuolo".
      In ogni città che attraversasse, il giovane sonnacchioso distribuiva i cartoncini ai viandanti; e, a seconda della fisionomia, or consegnava quelli del genio ed ora quelli del buon figliuolo. La gente rimaneva stupita. Chi diceva: "Eh, dev'esser sicuro del fatto suo!"; e chi esclamava: "Ecco, finalmente, una persona modesta!". Tornati nelle loro case, i primi dichiaravano alla famiglia: "Oggi ho visto un portento d'intelligenza!"; e i secondi aggiungevano: "E di cuore!".
      Sempre dormicchiando, il giovane giunse nella capitale del regno e s'imbattè quasi subito in un individuo meditabondo, dinanzi al quale tutti si inchinavano con riverenza. Costui era un grande poeta, che trascorreva molta parte del proprio tempo contemplando le nuvole. Il sonnacchioso lo avvicinò e con gesto risoluto gli porse un cartoncino.
      - Sei proprio l'unico genio vivente?, - chiese con bonarietà il poeta dopo aver gettato uno sguardo sul biglietto.


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Commenti al libro delle fate
di Pierangelo Baratono
Fratelli Treves Milano
1920 pagine 119