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      Poichè si dimostrava così disinteressato verso i bisognosi, fu ricompensato dalla provvidenza, che gli concesse di accumulare, in poco volgere di stagioni, molto denaro.
      Un poliziotto ficcanaso e antiumanitario lo obbligò, infine, a chiuder bottega; ma per rimbalzo gli aprì, senza volerlo, un più soleggiato cammino. Infatti, il nostro giovane non tardò ad avvedersi che il mondo è oppresso e perseguitato non tanto dalla miseria quanto dalla noia. Visitò le capitali straniere, apprese tutti i segreti con cui si combatte lo sbadiglio; e, rientrato in patria, destinò la propria ricchezza all'altrui sollievo e vantaggio. Aprì non un piagnucoloso teatro di prosa o d'opera, ma un gaio ritrovo con spettacoli a base di sgambetti scacciapensieri e di artistiche esposizioni di seminudo: e vi aggiunse un servizio notturno di ristorante per chi soffrisse di debolezza allo stomaco, e un certo numero di gabinetti appartati per chi odiasse misantropicamente le compagnie numerose. Inaugurò non una pesante e pedante società di letture e conversazioni, ma un allegro circolo ove, fra intimi, si potesse liberamente discorrere della virtù degli assi in un mazzo di carte da giuoco e delle incomparabili dolcezze di un baccarat famigliare: e con cortese premura rese nota la faccenda ai poveri ricchi forestieri, afflitti da spleen. Insomma, si adoperò in così amabile guisa, da meritarsi non solo l'ammirazione degli annoiati, che sono i più, ma anche il titolo di provvido benefattore dell'umanità.
      Già si parlava di nominarlo alle più alte cariche cittadine in ricompensa dei suoi molti servigi.


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Commenti al libro delle fate
di Pierangelo Baratono
Fratelli Treves Milano
1920 pagine 119