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      - Me misero!, - gridò il gobbino alzando verso il cielo le braccia. - Non ardo anch'io di un desiderio paragonabile al tuo? Non donerei anch'io intiero il mio spirito pur di acquistare una minima parte della tua bellezza, o divina compagna di dolore?
      Poi, quasi sovrappreso da troppa piena di sentimenti, si lasciò cadere per terra, al fianco della bella melensa, di cui con un gesto istintivo, che offriva e chiedeva conforto, afferrò e strinse una tremante manina.
      Per qualche minuto i due infelici confusero insieme i singhiozzi. Ma a poco a poco, sentendosi sempre più soli nel mondo e ognor maggiormente uniti l'uno all'altro da uno strazio comune, essi soggiacquero all'irresistibile bisogno di mescolare anche le lagrime: e le bocche, avvicinate sino a non dar più adito fra loro al benchè minimo soffio d'aria, suggellarono la melanconica alleanza.
      Sull'imbrunire, la bella melensa rientrò nella propria dimora: diede un po' di cipria alle guance soffuse di porpora, ma non potè togliersi l'espressione pensosa dal volto.
     
     
     *

     
      Trascorse un anno. La bella melensa aveva quasi dimenticata l'avventura e il gobbino: solo di quando in quando, come sorpresa da un subitaneo pensiero, abbassava gli occhi al suolo e schiudeva le labbra con un atteggiamento di curiosità e di stupore. Per fortuna, il cugino poeta era lì pronto a distoglierla dalla sua estasi.
      - Cosa vedi?, - le chiedeva. - Una lucertola con tre code oppure i tesori della Golconda?
      Ah, quel cugino! Proprio il fato benigno l'aveva messo dentro la casa!


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Commenti al libro delle fate
di Pierangelo Baratono
Fratelli Treves Milano
1920 pagine 119

   





Golconda