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      Il nostro ometto lo lasciò discorrere, contentandosi di esaminare in silenzio l'inturgidimento del collo nella foga dell'auto-panegirico e lo sbatter delle palpebre e il tingersi in verde delle guance nell'impeto delle filippiche contro le altrui rinomanze indegnamente scroccate; infine, disse:
      - Scusi, non per offenderla, ma il genio, secondo me, non è un semplice travaso di bile. Dunque? Ripassi allorchè avrò fondato un asilo non per i genii incompresi, bensì per quelli che non comprendono nulla.
      Terzo a presentarglisi fu un individuo irrequieto, il quale, avendo scoperto che, per fabbricare versi, basta tuffar nell'inchiostro una mosca e poi lasciarla passeggiare in lungo ed in largo sovra un foglio di carta, s'era visto ingiustamente rifiutato il titolo di grande poeta. Il nostro ometto lo lasciò discorrere, contentandosi di sorvegliare in silenzio ì pugni ben chiusi, allungati di continuo a minacciare un invisibil nemico, e più ancora le visibilissime chicchere di un servizio da caffè; infine, disse:
      - Scusi, non per offenderla, ma il genio, secondo me, non è un semplice travaso di sangue. Dunque? Ripassi allorchè avrò fondato un asilo non per i genii incompresi, bensì per gli incomprensibili.
      Tra per il crepacuore delle disillusioni, tra per altri motivi più intimi, il nostro ometto morì. E fu solo guardando verso la terra dal seggio, assegnatogli in paradiso, ch'egli comprese, finalmente, l'inutilità dei propri nobili sforzi. Infatti, il pianeta che gli avea dati i natali apparve ai suoi occhi come una grande taverna, dalla quale penzolava, ondulando fra le nubi, l'insegna: Al genio incompreso.


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Commenti al libro delle fate
di Pierangelo Baratono
Fratelli Treves Milano
1920 pagine 119