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      - Che modi son codesti? Allegria ci vuole, e non musi!
      La ragazza rise.
      - Toglietemi un dubbio, - disse. - Vi siete mai innamorato?
      - Eh, mille volte; ma erano amori alla svelta, di quelli che lasciano il tempo che trovano.
      - Ecco, scherzate sempre. Non vi si può rivolgere una domanda sul serio.
      - Avete ragione. Picchiatemi, perchè me lo merito.
      Scosse il capo, poi soggiunse:
      - Le donne sono troppo esigenti. E io voglio bere in pace il mio fiasco di vino e passare il giorno come meglio mi talenti.
      - E all'amore cosa concedereste?, - insinuò la ragazza.
      - La notte, - rispose lui.
      E rise sonoramente. Ma subito sospirò.
      - Temo d'aver presa una cotta, - disse. - Ho trovata una monella che conosce i gusti degli uomini e sa stare in compagnia, a tavola e in qualunque altro posto. Indovinate chi è.
      E la guardò con malizia. Ma la fanciulla troncò il discorso:
      - È tardi; e qui dentro fa più caldo che fuori.
      Si avviarono in silenzio.
      L'ospite, caso strano, sospirava, e la ragazza soffocava gli sbadigli.
      Alla lunga, l'allegria stufa. Nei giorni seguenti, il servidorame abbassò grado a grado la voce e moderò i gesti; in cucina, i cuochi si rimisero ai fornelli, gli sguatteri si occuparono dei polli infilzati negli spiedi, e il can barbone fece capire alla micia che certe confidenze sono permesse solo in casi eccezionalissimi.
      L'ospite rideva sempre. Ma la padroncina di casa sbadigliava; e tutti, intorno a lei e nelle altre stanze, la imitavano a più non posso. Infine, la ragazza si eclissò e i coppieri cominciarono a sonnecchiare camminando e a versare il vino sulla tovaglia anzichè dentro i calici di cristallo.


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Commenti al libro delle fate
di Pierangelo Baratono
Fratelli Treves Milano
1920 pagine 119