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      E il poeta invido scagliò la sentenza.
      Amara sentenza, nella quale si rispecchia l'eterno dissidio fra due opposti temperamenti. Nè tanto doveva cuocere a Marsia di sentirsi scuoiato, quanto di vedere il tronfio avversario assistere, con un disdegnoso sorriso, al supplizio. E indubbiamente, se le pene del corpo non avesser tramortita l'anima, egli avrebbe rivolte al crudele Immortale parole immortali. "Oggi tu vinci, o Apollo", avrebbe detto "ma, domani, anch'io trionferò nella memoria degli uomini. La tua tunica linda e la tua mente serena e la tua vita e la tua arte, armoniche del pari, modellate del pari secondo i dettami di una legge di ben composto equilibrio, cui gli eccessi e gli scuotimenti e le depressioni e le esaltazioni ripugnino e piaccian solo le acque scorrenti chiare e musicali tra fioriti e ben definiti argini, tutto ciò, insomma, che ti rende apollineo, ha dato un ancor più intollerabil risalto alle mie vesti trascurate e al mio tumultuoso ingegno e alla mia esistenza e alla mia arte ugualmente prive di freno, di limitazioni e di serenità. E gli uomini che, amando la compostezza e la proporzione, odiano quasi con furore gli sregolamenti e gli squassi, hanno decretata a te, apollineo, la gloria e a me, dionisiaco, il martirio. Ma se tu vinci nella vita, io vincerò nella morte".
      Questo avrebbe detto Marsia. E avrebbe, forse, soggiunto: "Che vale, o bellissimo Iddio, il plauso del volgo? Perchè costringere i nostri desiderii e i nostri amori e dolori entro gli angusti confini delle costumanze ammesse o tollerate?


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Edgar Poe
di Pierangelo Baratono
Formiggini Editore
1924 pagine 58

   





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