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      Perchè, a evitare le piccole noie, procurate dalla moltitudine se alcuno la offenda nelle sue consuetudini mentali o carnali, rinuncieremmo alle grandi gioie dello spirito e della carne? Non sei, tu, un immortale? Perchè, dunque, il giudizio dei mortali ti preme a tal punto da costringerti a imitarli negli atteggiamenti calmi e nei modi corretti e nei moti ben regolati onde sopraffare me, dionisiaco irruento e ribelle, e importi alla loro ammirazione? Ma ecco ch'io, morendo, ti raggiungo. Ecco che tu, donandomi la morte, mi schiudi la gloria".
      E forse Apollo, se Marsia avesse parlato, si sarebbe raccolto, pallido, in una meditazione assillata dal dubbio. Ma nessuna parola fu pronunciata. E Apollo e Diòniso continuano a guardarsi in cagnesco. Antagonismo buffo: e, tuttavia, irrimediabile. Come potrebbero, i dionisiaci discendenti di Marsia, ottener venia agli occhi di Apollo e dell'apollineo mondo dei mediocri? Non infrangono, essi, di continuo la legge che, emanata appunto dal Dio greco, regola questo mondo mediocre? L'ira e la tristezza sono le compagne del loro spirito; l'audacia e la foga straviziatrice sono le guide del loro corpo. Passano, silenziosi e orgogliosi, tra le genti chiacchieratrici e subdolamente modeste: e il loro orgoglio suscita l'altrui livore; e la loro taciturnità dolorosa o pensosa offende la vacua allegra loquacità. Passano, di furia, cercando di raggiungere la formidabil chimera della gloria, di avvinghiarla, di soggiogarla con la gagliarda impetuosità del lor temperamento, che non conosce imbarazzi di usi e di mode e di convenienze nè legami di scuole.


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Edgar Poe
di Pierangelo Baratono
Formiggini Editore
1924 pagine 58

   





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