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      Ma nella voce rauca dell'ubriaco, per chi porga attento orecchio, si odon passare a ondate, malinconica parodia, le gioiose sonorità e i disperati singhiozzi del poeta.
      Delicato strumento, barometro spirituale foggiato per registrare i più lievi mutamenti, il poeta lirico accoglie e incanala nella propria personalità il continuo afflusso delle impressioni esteriori come la montagna accoglie le gocce dell'acqua piovana per avviarle, in gorgoglianti rivoletti, verso lo scroscio del fiume. Si chiamava, ieri, Catullo: e cantava i sensuali amori e la purpurea vita di Roma dominatrice; si chiamava Rudel, e cercava turbolento di ghermire la maggior avventura fra il tumulto di un'epoca ricca d'avventure; si chiamava De Musset, e tuffava la propria inquietudine nel gorgo di una generazione inquietissima.
      Poe era, anch'egli, un lirico. Ma era, anche, l'esule che guarda trasognato le sterili contrade offerte alla sua sete; era il pellegrino che, a piedi nudi, percorre un terreno irto di sassi; era l'orestiade, che fugge ululando, inseguito dalle furie del dubbio.
      Triste destino, oggi, nascer poeti! L'umanità, straripando, immane fiumana, dagli argini, che la sorte le aveva costruiti, infuria contro tutto ciò, che le sembri d'impaccio al cammino, e travolge con folle gioia ogni opera d'arte, ogni segno di bellezza. Livellatrice feroce, essa scaglia le proprie onde contro ogni cosa, che emerga, e sghignazza sguaiata a ogni crollo. Ma, forse, sa d'infuriare contro sè stessa. Forse, in questa spietata distruzione dei valori, in questa corsa sfrenata verso la volgarità, c'è la febbre alta, la febbre della crisi, che segna il trapasso alla morte o il ritorno alla vita.


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Edgar Poe
di Pierangelo Baratono
Formiggini Editore
1924 pagine 58

   





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