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      E la lucida falce, che lavora incessantemente a eguagliare le anime, è, forse, la falce che abbatte l'erba perchè, nella nuova stagione, cresca più rigogliosa.
      Ma, intanto, il poeta trema udendo giungere, sempre più vicino, sempre più minaccioso, il mugghio dell'acque. Ardito è il suo piede: e potrebbe aiutarlo a scalare vette infranabili, a salvarsi dalla ruina. Ma è un piede chiuso entro una scarpa fabbricata da uomini frettolosi: scarpa dozzinale, che si spacca se tu la costringi a salire.
      Come poteva questa umanità, l'umanità moderna, comprendere l'ebro delirio del poeta? Solitario visse, dunque, Edgar Poe: tra grandi sogni. Ma, sebbene il suo temperamento di romantico lo spingesse a disincagliarsi da ogni tradizione e da ogni dogma, la sua raffinata natura di artista lo ricondusse sempre entro i confini della poesia pura che è, essenzialmente, armonia. Isolato nel mondo, egli fu e seppe rimanere un solitario, anche in arte. Per questo, la letteratura americana e il popolo degli Stati Uniti, così rifuggenti, l'una e l'altro, da ogni raffinatezza, poterono avere l'imperial dono di una lirica aristocraticamente eccezionale. Ma per questo, anche, la lirica di Poe è intraducibile. Il paziente bulino di Mallarmé ne rese, in parte, la squisita musicalità; l'intuitivo genio di Baudelaire ne riprodusse, in parte, l'intimo brivido. Ma nessuna versione rispecchia 1'ebro delirio del poeta, che definiva la poesia come una ritmica creazione della bellezza e dichiarava il ritmo e la musica unici mezzi, a traverso i quali si possan provare le gioie estatiche di un mondo superiore a quello terreno.


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Edgar Poe
di Pierangelo Baratono
Formiggini Editore
1924 pagine 58

   





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