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      C'eran, nell'elemento maschile, i pił rinomati affaristi genovesi, i quali avean condotto con loro le pił belle mantenute della cittą. Bisogna dire che in quell'ora e in quel luogo solitario la maschera dell'ipocrisia non esisteva pił su quei volti, in cui la febbre dell'oro aveva impressi i suoi segni indelebili. Rimaneva soltanto ancora quell'espressione generale di furberia, che le donne assumevano come difesa e gli uomini come mezzo per la lotta della vita.
      Seduti tutt'intorno a un gran tavolo imbandito, Augusta e il Sergenti, naturalmente, vicini, cominciarono a parlare ad un tempo, coprendo al frastuono delle chiacchiere le voci dei camerieri, intenti a servirli. Ma a poco a poco i discorsi degli uomini ricaddero sul tema che pił li interessava. Soltanto il Sergenti si occupava della propria vicina, con una cordialitą stentata che a mala pena celava il desiderio della conquista.
      Augusta prestava un orecchio distratto ai complimenti del suo vicino, intenta com'era, per una sua curiositą femminile, a studiare l'ambiente, nel quale il caso l'aveva condotta.
      Alla sua intelligenza si rivelavano a squarci le infamie di quel mondo di affaristi. Non una frase era detta da quegli uomini, che denotasse un sentimento qualsiasi, tranne quello del proprio interesse.
      L'ariditą di cuore, la pił rozza ipocrisia, il cinismo, la grossolanitą eran le prerogative di quel mondo di Borsa.
      Le donne, ora, imitavano l'esempio di Augusta; soltanto, esse studiavano i loro vicini per poterli meglio sfruttare.


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Genova misteriosa
Scene di costumi locali
di Pierangelo Baratono
pagine 280

   





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