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      Purtroppo, l'ipocrisia si è imposta come una legge ed ha obbligato perfino gli scrittori a chinare la testa e biascicare rosari.
      E badiamo. Esiste un'ipocrisia incosciente, subìta senza volerlo, e che assume l'aspetto di un morbo sottile, peggiore della tisi e della sifilide. È l'ipocrisia delle convenienze e dei costumi. Basta scorrere, anche con occhio distratto, i numerosi volumi della letteratura piccola e grande, per rendersi un conto esatto delle stupide conseguenze, alle quali un'educazione falsa e un ambiente a due faccie possono trascinare anche gli uomini d'ingegno. Non esiste formula, in letteratura; non c'è che la sincerità, ma la sincerità oggettiva, non quella dell'«io», che potrebbe essere menzogna. Anche Emilio Zola si è ingannato, poichè ha ammesso un metodo, che poteva applicarsi solo a una parte dell'umanità. Il realismo, quale lo intendiamo noi, è semplicemente la sincerità oggettiva; quello dei capi-scuola era, invece, il rovescio del romanticismo e cioè la vita umana vista a traverso le lenti dell'esperimento anziché a traverso quelle del sentimento.
      Ma veniamo al nostro assunto. Abbiamo detto che la signorina Scarpette era un tipo di donna non eccezionale, ma fondamentale. Spieghiamoci.
      La femmina è stata sempre, per il così detto sesso forte, un terribile stimolo a pensare e ad agire. Però ha avuto diversi gradi di considerazione a seconda dei tempi. La sana bellezza greca, che faceva delirare Anacreonte e sospirare Teocrito, è completamente scomparsa e non rimane se non come una vuota e misteriosa tradizione di grazia e d'incanto.


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Genova misteriosa
Scene di costumi locali
di Pierangelo Baratono
pagine 280

   





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