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      Questo pensava il vecchio re e fissava lontano, dalle grandi invetriate, il cielo, reso vermiglio dal tramonto autunnale e qua e là solcato da dense nubi fantasticamente orlate di sangue.
      A un tratto passò un nome, ripetuto dalle gradinate più basse su su, fino alla sala delle assemblee: «Pietro Martino». Per le scale s'arrampicava saltellando un vecchietto magro e irrequieto, piccolo punto rosso sull'ampia bianchezza dei marmorei gradini. Era Pietro Martino, il misterioso alchimista, l'antico maestro del principe. Al suo fianco balzava un grande cane danese, il muso intelligente volto verso il padrone.
      Giunse Pietro Martino ai porticati, passò rapido fra mezzo, a due file di donzelle, che lo inchinavano sorridendo, entrò infine nel salone regale.
      Il vecchio monarca lo salutò con un cenno famigliare della mano e lo invitò a sedere al suo lato per prendere parte alla festa comune. Ma il solitario scienziato rimase immobile, in mezzo alla sala, solo col suo cane, nel vuoto fattogli intorno dalla riverenza dei cortigiani. I numerosi candelabri illuminavano in pieno il suo corpo piccolo e magro, avvolto in una lunga tunica di colore scarlatto e il viso giallo, pieno di rughe, sul quale spiccavano i vividi occhietti grigiastri, il naso sottile e curvo e le labbra arcuate a una strana espressione d'ironia disdegnosa. Rimase immobile, per qualche istante, volgendo rapidamente lo sguardo intorno sull'assemblea e sul monarca.
      Poi, alzò le braccia e lasciò sfuggire dalle labbra una risata stridula e spaventosa.


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Genova misteriosa
Scene di costumi locali
di Pierangelo Baratono
pagine 280

   





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