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      Perdonavo volentieri queste bizzarrie attribuendole all'indipendenza ed alla stranezza del suo carattere; inoltre, mi sentivo già troppo dominato dalla dolce fantasticheria, che è quasi sempre la messaggera dell'amore, per poter volgere a lungo l'attenzione su quanto non riguardava Damianti, la mia delicata amica. Non osavo ancora definire i miei sentimenti; se lo avessi potuto, mi sarei sentito debole e inetto di fronte a una creatura, che sembrava nata più per la pura contemplazione di una felicità divina, che per le volgari gioie della terra.
      Pur finalmente un mattino le nostre anime si rivelarono, a un tratto, l'una all'altra. Passeggiavamo, io e la dolce Damianti, per il boscoso declivio di una collina. Mehara, dinanzi a noi, si era dilungata dalla nostra vista fra mezzo al viluppo degli alberi. Più nulla si udiva, in quella melanconica solitudine, tranne, di tempo in tempo, il richiamo breve di qualche contadino o il fievole rintocco di campane.
      Quale misteriosa fatalità mi spinse, in quel punto, a piegar lievemente il viso su quello della cara fanciulla ed a sfiorare con le mie avide labbra la sua bocca tremante? Ella corrispose al mio bacio, ingenua e fidente, e si appoggiò tutta su di me, nascondendo l'imbarazzo e il rossore fra le mie braccia.
      Ma la mia benamata fu presta a sciogliersi dall'abbraccio e a fuggire lieve, tinnendo un piccolo grido, come di uccello ferito. E a questo rispose, dall'alto, un urlo prolungato e stridente, che mi agghiacciò il sangue nelle vene e mi paralizzò per un attimo.


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Ombre di Lanterna
di Pierangelo Baratono
1909 pagine 254

   





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