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      Nel partire disse: "Non so quando il destino o il capriccio mi ricondurranno fra i miei cari; certo, se pur la morte non mi sorprenderà per via, tornerò uomo e forte". E s'avviò verso l'ignoto, desideroso di avventure e dimentico, nella sua spensieratezza di adolescente, di ciò, che lasciava dietro di sè. Oggi, finalmente, tornerà a riscaldare con la sua anima quel freddo ambiente, a far rivivere di una nuova vita tutti quegli esseri fossilizzati dalle tranquille abitudini. Questo pensava il vecchio re e fissava lontano, dalle grandi invetriate, il cielo, reso vermiglio dal tramonto autunnale e qua e là solcato da dense nubi fantasticamente orlate di sangue.
      A un tratto passò un nome, ripetuto dalle gradinate più basse su su, fino alla sala delle assemblee: "Pietro Martino!". Per le scale s'arrampicava saltellando un vecchietto magro e irrequieto, piccolo punto rosso sull'ampia bianchezza dei gradini: era Pietro Martino, il misterioso alchimista, l'antico maestro del principe. Al suo fianco balzava un grande cane danese, il muso intelligente vôlto verso i l padrone.
      Giunse Pietro Martino ai porticati, passò rapido fra mezzo a due file di donzelle, che lo inchinavano sorridendo, entrò infine nel salone.
      Il vecchio monarca lo salutò con un cenno famigliare della mano e lo invitò a sedere al suo lato per prendere parte alla festa. Ma il solitario scienziato rimase immobile, in mezzo alla sala, solo col suo cane, nel vuoto fattogli intorno dalla riverenza dei cortigiani. I numerosi candelabri illuminavano in pieno il suo corpo piccolo e magro avvolto in una tunica di colore scarlatto e il viso giallo, pieno di rughe, sul quale spiccavano i vividi occhietti grigiastri, il naso sottile e curvo e le labbra arcuate in una strana espressione d'ironia disdegnosa.


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Ombre di Lanterna
di Pierangelo Baratono
1909 pagine 254

   





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