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      Tuttavia quel benedetto scopone aveva assunte le proporzioni e l'importanza di un affare di stato. Lo vivevamo come si può vivere un dramma, inframezzandolo di discussioni letterarie e politiche, ma non perdendo mai di vista le carte. Ricorderò sempre le smanie e i versacci del poeta innanzi a un sette di quadri, che s'involava ai suoi occhi, e i suoi formidabili calci, sotto il tavolo, al compagno di giuoco, allorchè il sette sopra menzionato si trovava fra le sue mani. Badiamo: i calci eran dati senza malizia, poichè tutti se ne accorgevano, tranne, qualche volta, colui al quale erano indirizzati. Inoltre era cosa stabilita che il fiasco fosse pagato da chi, vincitore o perdente, possedesse i soldi necessari. E bisogna confessare che in certe sere il problema si presentava irto di difficoltà.
      Questo non ci impediva di mettere nel giuoco tutti i nostri sentimenti. Chi rimaneva sbalordito era l'oste, il quale ci vedeva agitarci come indemoniati e ci udiva gittar grida or stridenti or gioiose. Soltanto topolino bianco rimaneva impassibile o al più arrossiva per il rimprovero del compagno ad un giuoco sbagliato. Una sera, però, montò in furia anche lui e precisamente a causa del poeta, che l'aveva coperto di contumelie per vendicarsi di una disfatta. No, no, una simile ingiustizia la sua anima leale non aveva potuto tollerarla e le sue labbra s'erano vendicate urlando in faccia al poeta sbigottito:
      - Lo sai chi paga, questa sera? Proprio io, che ho vinto!
      Il domani erano di nuovo amici.


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Ombre di Lanterna
di Pierangelo Baratono
1909 pagine 254