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      Ed il rimedio meglio adatto alle esigenze pressanti dell'ora sembrava consistere in una risurrezione delle vecchie cernide veneziane, in un adattamento cioè degli ordini di queste - nate in tempi non meno travagliati per la Repubblica - alle condizioni militari, economiche e sociali delle nuove età. Nella fede ancora superstite in questi illusi, la maschia e vigorosa fondazione di Bartolomeo d'Alviano pareva ancora sorridere, piena di promesse e di lusinghe, come dopo la Ghiara d'Adda e la perdita dei domini Veneti di terraferma, nel 1794, come al tempo della Lega di Cambrai. Alla perfine non si erano perduti dai Veneti nè terreni, nè battaglie ordinate, e l'uniforme tranquillità dell'epoca pareva propizia, purchè si volesse, a restaurare la milizia secondo forme meno viete e più progredite.
      Si trattava in sostanza di fare ritorno alla semplicità ed alla spontaneità delle funzioni dell'istituto militare, reso pesante dagli attriti, rugginoso dalla lunga e sfibrante inazione, improduttivo per essersi ridotto - causa la sfiaccolata bontà dei governanti - a disimpegnare insieme i còmpiti di istituto di beneficenza e di vasta casa di correzione. Le cerne, vera e prima milizia territoriale ed archetipo della Landwehr di Stato, dovevano perciò evoluzionare nelle forme e nella sostanza. Di conseguenza, al concetto della prestazione personale dei componenti di tale milizia derivato dalle antiche compagnie del popolo, durante una campagna di guerra o un determinato periodo di neutralità armata, doveva sostituirsi quello di un servizio temporaneo sotto le bandiere, anche all'infuori delle dette eventualità; un criterio da coscrizione progressiva, una specie di prefazione insomma al servizio personale individuale ed obbligatorio.


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La Campagna del 1796 nel Veneto
Parte I (la decadenza militare della serenissima. Uomini ed armi)
di Eugenio Barbarich
Tip. E. Voghera Roma
1910 pagine 199

   





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