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      CAPO VI.
     
      L'artiglieria veneziana.
     
      La veneta repubblica, romanamente e saviamente, ha sempre prediletta la massima in pedite robur. Sui 18 reggimenti di fanti italiani e sugli 11 di oltramarini essa non contava infatti, alla caduta, che 4 reggimenti di cavalleria, 1 di artiglieria ed 1 di operai (il così detto reggimento Arsenal), proporzione per certo assai favorevole all'arma del popolo, qualora si consideri il fondamento oligarchico ed aristocratico dello Stato e la necessità di ben presidiare i numerosi castelli e fortezze che esso aveva sparsi, dall'Adda e dall'Oglio, giù per il littorale dalmata, fino allo scoglio di Cerigotto. A cifre tonde, a 262 compagnie di fanteria non facevano quindi riscontro che 43 compagnie, tra dragoni, corazzieri, croati e cannonieri.
      La prevalente soverchianza numerica della fanteria sulle altre armi non fece però dimenticar mai alla Serenissima la cavalleria e l'artiglieria, e quest'ultima in particolar modo. Quale ramo progredito dell'arte, l'artiglieristica vantava anzi a Venezia belle tradizioni dottrinali e bibliografiche: basta sfogliare la cospicua e diligente raccolta del Cicogna per convincersene(139).
      Figurano in essa, tra le opere più conosciute, il Breve esame da sotto-bombardiere, capo e scolaro, redatto sotto forma di dialogo, l'Esercizio dell'artiglieria veneta e maneggio del fucil, oltre all'opera classica del maggiore Domenico Gasperoni, ricordata più sopra e dedicata al doge Paolo Renier.
      Però, fino all'anno 1757, l'esercito veneto non ebbe un corpo di artiglieria a sè, a somiglianza dei reggimenti delle altre armi.


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La Campagna del 1796 nel Veneto
Parte I (la decadenza militare della serenissima. Uomini ed armi)
di Eugenio Barbarich
Tip. E. Voghera Roma
1910 pagine 199

   





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