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      Il grande frazionamento delle truppe venete, le loro unità stremate di gregari e decrepite nei quadri, il servizio anfibio che esse prestavano tra terra e mare, tra le frontiere turchesche e le isole sperdute dell'arcipelago ionico, rendevano assai rare le occasioni utili per stabilire contatti reciproci di cameratismo, per affinare il senso dell'arte, per esercitare insomma le truppe medesime in nuclei di qualche rilievo, conforme a quanto si usava a quell'epoca nei campi di manovra di Francia e dell'Impero. Richiamate poi a nuova vita le cerne nel 1794, con il loro innesto nei riparti di soldati del vecchio piede le unità si rinsanguarono alcun poco, sicchè le compagnie anemiche dei fanti italiani ed oltremarini, da una trentina di soldati appena salirono in media a circa il doppio.
      Si presentava allora propizia l'occasione per addestrare le truppe venete in qualche simulacro di campo o di manovra, ed il tenente generale Salimbeni - il tacciato di giacobinismo nei bossoli del Maggior Consiglio e del Senato - la colse ben volentieri a Verona, là dove, sulla fine del detto anno, si trovavano raccolti ben 2507 tra fanti e cannonieri, con 326 tra dragoni e croati(209).
      Il capitanio di Verona (Alvise Mocenigo) come pure il tenente generale Salimbeni - così diceva una relazione del Savio al Doge - si mostrano molto soddisfatti dei progressi della guarnigione nei campali esercizî, ad onta del tempo non lungo scorso dalla prima raccolta delle cernide e di qualche rèmora nelle successive.


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La Campagna del 1796 nel Veneto
Parte I (la decadenza militare della serenissima. Uomini ed armi)
di Eugenio Barbarich
Tip. E. Voghera Roma
1910 pagine 199

   





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