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      Però, stante l'esiguità delle forze disponibili e l'abbandono degli esercizi nei campi di manovra, queste pratiche non erano che semplici attestazioni teoriche. Invece - come si disse altrove - era assai deplorato il difetto di norme regolamentari circa l'imbarco e lo sbarco di truppe a piedi o a cavallo sui pubblici legni; operazioni di qualche frequenza nell'esercito della Repubblica specie dopo l'adozione dei turni di guarnigione(250).
      Le evoluzioni della cavalleria erano più antiquate di quelle della fanteria e risalivano alla fine del XVII secolo, cioè a dire alla pratica del generale Stenau, altro capitano della Veneta Repubblica. Anche la cavalleria - come la fanteria - si ordinava su tre righe e la distanza tra queste era normalmente di cinque passi. Gli intervalli tra fila e fila erano tali che i cavalieri potevano introdursi liberamente in questi spazi senza toccarsi l'un l'altro.
      Le evoluzioni consistevano nello sdoppiare e nel raddoppiare le file e le righe, con procedimenti analoghi a quelli risati dalle armi a piedi. Le conversioni - di 180 gradi - si eseguivano tanto a righe aperte che serrate: si adoperavano per cambiare diametralmente direzione di marcia e si compievano per divisioni, mozze divisioni, per file ed anche individualmente per ogni singolo cavaliere.
      L'esercizio con le armi consisteva, per le corazze ed i croati, nel maneggio della spada, della sciabola e dei pistoloni da arcione; per i dragoni inoltre nell'uso del moschetto armato di baionetta. Le tendenze difensive diffuse nell'arma di cavalleria - a motivo della importanza crescente del combattimento a fuoco - avevano accentuato nella pratica degli esercizi l'impiego delle colonne vuote di dentro e dei quadrati.


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La Campagna del 1796 nel Veneto
Parte I (la decadenza militare della serenissima. Uomini ed armi)
di Eugenio Barbarich
Tip. E. Voghera Roma
1910 pagine 199

   





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