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      Triste stato dei deboli codesto, fatto di speranza e di timore, di alternative di fiducia e di sconforto. La Repubblica, ridotta a palleggiarsi delle responsabilità non sue, a stendere la mano capitale al nemico ammesso a forza dentro il cerchio delle mura cittadine doveva, da Verona, strizzare l'occhio all'altro nemico che stava ancora fuori e voleva penetrarvi.
      Obbligata a piatire in note diplomatiche, in richiami, in proteste, le spinosità di una situazione politica, sociale e morale insostenibile, poteva rassomigliarsi ad una dannazione di Procuste fatta persona.
      Passava da Verona il 20 maggio 1796 il maresciallo Colli per ritrarsi nel Tirolo, col livido in volto per le recenti sconfitte patite nella Liguria e nel Milanese, e prometteva al provveditore generale Foscarini: "pieno riguardo alle autorità venete, disciplina nelle truppe, pagamento delle somministrazioni in contanti". E tutto ciò mentre giungevano alte proteste dalle comunità venete, "per i violenti modi con i quali si trattano i villici nel trasporto dei bagagli austriaci per le vie di Campata, obbligati essendo a forza di oltrepassare con i loro carriaggi i confini convenzionati... asportandone gli Austriaci poscia perfino i bovi"(262).
      Ed il Foscarini: "convinto essendo che tutto ciò sia contrario alle intenzioni della Corte Cesarea ed agli ordini dei di Lei generali" comandava "ai commissari ai Campara di rimostrare ai generali austriaci le cose accennate, di interessarsi a rilasciare ordini precisi onde tutto proceder avesse secondo le regole e le discipline convenzionate per i passaggi a Campara medesima"(263).


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La Campagna del 1796 nel Veneto
Parte I (la decadenza militare della serenissima. Uomini ed armi)
di Eugenio Barbarich
Tip. E. Voghera Roma
1910 pagine 199

   





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