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      Giunti a poca distanza dal torrente, hanno voltato a destra, verso la valle, dalla cui apertura una severa ma bella veduta si affaccia loro allo sguardo.
      La Caprazoppa, co' suoi massi enormi, sporgenti da ripide falde scarsamente vestite di umili cespugli ed erbe di facile contentatura, riceve ed ammorbidisce nella sua tinta rossigna, qua e là chiazzata d'azzurro, la vivida luce del sole. Laggiù, in capo alla valle, il cui fondo è ancora a mezzo velato dall'ombra della costiera di Monticello, s'innalza il dorso alpestre, su cui è murato il castello Gavone, superba mole solitaria, fiancheggiata da quattro torri, che siede a custodia dei passi sottostanti. Veduto a quella distanza, così solo in mezzo alle balze digradanti, il nobile edifizio comanda l'ammirazione e la riverenza. Lo si direbbe un avvoltoio, posato alteramente sulla sua rupe, in atto di spiare intorno e meditare da qual parte abbia a calarsi veloce, per afferrar la sua preda. Non lunge dal castello, la rupe si deprime un tal poco, indi risale, si gonfia e tondeggia in ampio dorso sassoso. È questa la roccia di Pertica, che, veduta da settentrione, apparisce dirupata, inaccessibile, come una di quelle rocche incantate che vide e ritrasse la fantasia dell'Ariosto. La vetta del monte, le bianche torri di Castel Gavone e i sottoposti declivii, risplendono al sole; il borgo del Finaro non si vede, ascoso com'è dietro un colmo di piante, ma lo s'indovina dalla merlatura di qualche torrione, o dalla guglia di qualche campanile, che sbuca dal verde.


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Castel Gavone
Storia del secolo 15.
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1875 pagine 304

   





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