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      - Uhm! - brontolò mastro Bernardo, che in sulle prime aveva fatto bocca da ridere. - Brutta gente, quei genovesi! E se questi due fossero della pasta di quell'altro, meglio sarebbe dar loro acquetta, che vino di Calice!
      - Ho dunque a portar loro l'acquetta? - chiese il ragazzone, con aria che volea parere melensa.
      - Di che acquetta mi vai tu novellando?
      - Non sapete, mastro Bernardo? quel vinello fiorito, che è sempre in fin di botte, perchè oramai nessuno lo vuole?
      - Ehi, bada a te, mascalzone! Vuoi forse trincartelo tu, che fai sempre a screditarlo? Ci ho a fare un nipotino ancora, prima che tu ne assaggi!
      - Un nipotino su quel vinello? Sarà acqua schietta, allora - notò il Maso tra sè.
      E raumiliato in vista, ma contento d'aver detto la sua, andò a spillare il migliore, per servir degnamente i due forastieri; indi, colmate le bottiglie, si affrettò a portarle di sopra, insieme col pane e i camangiari.
      Si affrettò, dico, ma non fu tanto sollecito a ritornare, come al padrone pareva che egli ragionevolmente dovesse; epperò n'ebbe da mastro Bernardo un'altra ripassata delle solite.
      - Diamine! - sclamò il Maso. - Come ho a fare? Cinquantadue scalini non si salgono e non si scendono mica in un batter d'occhio!
      - Cinquantadue! Tanti ce n'ha dal pian terreno al terrazzo.
      - E appunto lassù ho dovuto apparecchiare. Hanno voluto così. -
      Mastro Bernardo rimase lì a mezzo, colla mano sullo schidione e le ciglia inarcate.
      - Che diavolo! - gridò egli sbalordito. - Sul terrazzo? in fin di novembre?
      - La giornata è bella; - notò il ragazzo.


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Castel Gavone
Storia del secolo 15.
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1875 pagine 304

   





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