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      L'impazienza rosolava mastro Bernardo, ben più che i carboni ardenti non rosolassero il pollo. Ne avvenne, che egli si tenesse ancora nelle dita una serqua di giratine, e messo il pollo in un vassoio di terra savonese (che cominciava allora a soppiantare le terre cotte di Majorica), lo portasse egli in persona a' suoi ospiti.
      Erano ambedue seduti sul murello dell'altana, quando l'ostiere comparve dall'abbaino, col suo piatto fumante tra mani.
      Picchiasodo fu il primo a vederlo,
      - Degno ostiere! - gridò egli, tirando dentro una gamba, che tenea cavalcioni sul muricciuolo. - Tu hai fatto le cose alla spiccia.
      - Magnifici messeri, - disse Bernardo inchinandosi, nell'atto di deporre il vassoio in mezzo alla tavola, - temevo non aveste a spazientirvi e a prendere in uggia l'Altino....
      - In uggia? che diavol dici? in uggia questo paradiso terrestre? Io ci ho succhiato una dozzina di olive indolcite, e stavo per isfogliarci un carciofo, davanti a questa bella veduta.
      - Un po' chiusa.... - notò timidamente l'ostiere.
      - Tu sei modesto, mio caro.... A proposito, il tuo nome?
      - Bernardo, ai vostri comandi.
      - Diciamo dunque mastro Bernardo. Ora, vedi (e frattanto Picchiasodo con certi colpi di trinciante, che non erano da scalco, faceva a spicchi il pollo infilzato nel forchettone, per darne il meglio a messer Pietro), a me piacciono quei monti, che chiudono la vista.... quei monti che calano addosso al paese, come falconi sulla preda.
      - Ci sarà una strada; - entrò a dire con piglio di mezza domanda il compagno.


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Castel Gavone
Storia del secolo 15.
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1875 pagine 304

   





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