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      - Per Dio, se ci tornerò! Non foss'altro, per vedere di quanti palmi t'avranno scavato profonda la fossa!
      - Di ciò parleremo; - borbottò Giacomo Pico. - Vi piaccia intanto calarvi d'arcione.
      - Volentieri, se m'indicherete un luogo dove possiamo sbrigare i fatti nostri meglio che sulla strada maestra.
      - Qui presso, nei greti della fiumana.
      - Ottimamente; insegnate la strada. -
      E così dicendo, messer Pietro, sempre ilare e disposto alla celia, spronò il cavallo per tener dietro a Giacomo Pico. Ma la faccenda non garbava punto al Picchiasodo, a cui era balenato un pensiero più vasto.
      - Non già! - entrò egli a dire sollecito. - Con vostra licenza, messer Pietro, padron mio colendissime, abborro l'acqua, e ricordo in buon punto che siamo lontani appena un cento di passi dall'insegna dell'Altino. Questi degni messeri lo sapranno benissimo, che sono del paese; c'è buona l'accoglienza....
      - E meglio il vino! - rincalzò, chiudendo la frase, il Sangonetto.
      - Ah, bravo! - ripigliò il Picchiasodo. - Veniteci in aiuto anche voi, messere dell'archibugio. Siamo dunque intesi; si va a sbrigar la faccenda all'Altino. L'aia è piana e lucente come uno specchio, e sul battuto c'è posto pel giuoco di quattro lame. Che ve ne pare? Voi certo avete pratica del luogo. Non ci si è abbastanza liberi in quattro? -
      Tommaso Sangonetto lo guardò con aria melensa. La proposta di quel vecchio barbone, che ci avea un paio di spalle e un torace da fare alle forze con Ercole, non gli andava a fagiuolo. Chinò la testa in atto di chi vuol dire e non dire; ma dentro di sè fece atto di contrizione per la sua lingua, che era stata un po' troppo latina.


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Castel Gavone
Storia del secolo 15.
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1875 pagine 304

   





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