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      Si era adoperato per quattro, il povero Giacomo Pico; aveva messo l'ingegno e le forze, la rabbia e l'amor proprio alla prova, e non era venuto a capo di nulla. Messer Pietro, come si è detto, parava facilmente, senza scomporsi, senza riscaldarsi il sangue, e, contento di mandar vani i colpi del Bardineto, non profittava del suo vantaggio su lui. Sorrideva, frattanto sorrideva di continuo, come un vecchio schermidore che avesse a sostenere gli assalti d'un bambino, o d'un cieco. Ora, egli non è dire come quello eterno sorriso tornasse molesto al Bardineto, che se lo vedeva sempre sugli occhi, tra un guizzo e l'altro delle spade cozzanti. E non poter giungere fino a quel volto! e non poter mutare quel riso sarcastico in un ghigno di dolore! Venne un istante che egli, pur di cessare quel riso, avrebbe amato una puntata nel cuore. Fu per dolersene ad alta voce; ma gli parve viltà e si morse le labbra fino a dar sangue. Messer Pietro se ne avvide ed ebbe compassione di lui. Intendiamoci, ne ebbe compassione a modo suo, che tenero non era di cuore, e i tempi del resto non comportavano certo delicatezza di nervi. A que' tempi si dava il nome di misericordia ad una foggia di pugnale, e quello di grazia ad un certo colpo che finiva l'avversario. Così, e non altrimenti, fu compassionevole il cuore di messer Pietro, il quale, cessati gl'indugi, pigliò a sua volta l'offesa, si serrò addosso al nemico, e, sviato un maledetto fendente, che, giusta l'intenzione del feritore, doveva spaccargli la testa, corse veloce con un soprammano al costato di Giacomo Pico.


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Castel Gavone
Storia del secolo 15.
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1875 pagine 304

   





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