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      Io non sarò capitano dell'esercito genovese all'impresa del Finaro, se non quando egli avrà accettata la sfida.
      - È vero; - notò con accento benigno, sebbene impresso d'una certa amarezza, il marchese Galeotto. - Io non l'ho anche accettata. Ma come potrei onestamente cansarmene? L'intimazione è chiara e recisa. Leggete, o signori! -
      Così dicendo, porse la lettera a Barnaba, intorno a cui si fece ressa di gentiluomini, per leggere l'orgoglioso messaggio di Giano.
      - Il mentitore! - sclamò l'Adorno. - Egli ha cercato di acquetare gli sdegni del popolo!
      - Rompe guerra sforzato; gli vincon la mano, al poveretto! - notò un altro del crocchio.
      - Non è Genova che vuol questa guerra, - soggiunse Barnaba Adorno, infiammato di sdegno, - io lo attesto.
      Pietro Fregoso stava per dargli risposta; ma Galeotto lo trattenne col gesto.
      - Sia Genova, o no, - diss'egli, per chetare gli spiriti, - imperano i Fregosi colà; ad essi ci bisogna rispondere. E perchè l'esercito, che si sta radunando a Savona, - aggiunse poscia, accompagnando la frase con un cenno del capo, che voleva mostrare com'egli fosse di ogni cosa informato, - perchè l'esercito non abbia ad aspettare di soverchio il suo capitano, eccovi messer Pietro Fregoso, una pronta risposta. Cancelliere, scrivete. -
      E con voce alta e sicura, in mezzo ad un silenzio solenne, il marchese Galeotto dettò la sua risposta allo scriba; rimessa in principio e tranquilla, come portava il costume, indi man mano, per lo infiammarsi a grado a grado del personaggio, più concitata ed altiera.


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Castel Gavone
Storia del secolo 15.
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1875 pagine 304

   





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