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      Anche da queste parole, come già dalla lettera, traspariva un fil d'ironia; ma messer Pietro non poteva adontarsene, e perchè l'ironia era finamente condotta, e perchè, poi, quell'ufficio di messaggero, non al tutto conveniente al suo grado, lo aveva voluto egli stesso.
      Si accomiatò con garbo, diede un'ultima occhiata, in guisa di arrivederci, a Barnaba e agli altri fuorusciti genovesi, indi si mosse per uscir dalla sala. Galeotto lo accompagnò fino all'androne del castello.
      - Cavaliere, - gli disse, porgendogli cortesemente la mano, - la guerra ha tristi vicende per tutti. Ricordatevi che Galeotto Del Carretto, se è pronto e risoluto a respingere, è poi altrettanto umano in accogliere. Il Finaro è luogo d'asilo ai disgraziati; perciò avete qui veduti gli Adorni. Il giorno che sarà guerra tra noi, non avrete altri avversarii che i Carretti; gli Adorni avranno, non pure licenza, ma preghiera di ritirarsi da un rifugio, che non sarebbe quind'innanzi più sicuro per essi.
      - Nobilmente parlate, messere; - disse a lui di rimando il Fregoso; - capitano dell'esercito genovese, io ricorderò queste vostra parole. Ed ora, signor marchese, alla sorte delle armi! -
      Le cortesie del commiato rasserenarono il volto di messer Pietro Fregoso. Del resto, quella bisogna era fornita, ed egli facea ritorno, come suol dirsi, nella sua beva.
      - Animo, via! - disse ad Anselmo Campora, a mala pena furono usciti di là. - I grattacapi sono finiti e adesso verrà il buono. Mi fermo stassera a Vado, e tu proseguirai fino a Genova, per consegnare la lettera.


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Castel Gavone
Storia del secolo 15.
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1875 pagine 304

   





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