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      Così dicendo, con meditata progressione di affetto, Giacomo Pico aveva sguainato il pugnale che gli pendeva al fianco, e fu tanta la foga con cui lo brandì, rivolgendone la punta al suo petto, che la fanciulla fu per vederlo già morto.
      - Ah no, Giacomo, per amor del cielo, per l'amor mio, ve ne prego! - gridò ella atterrita.
      E levate le mani, colse in aria il pugnale. Lottarono disperatamente un tratto, egli per ritenere, ella per istrappargli quell'arma paurosa. E per fermo, debole com'era, non ne sarebbe ella venuta in capo, se Giacomo, veduto scorrer sangue dalla mano di lei, non avesse tosto abbandonato l'impugnatura.
      - Per l'anima mia! - gridò egli a sua volta, impallidendo, mentre tendeva le palme, per afferrar quella mano. - Ti ho ferita?
      La fanciulla diede una rapida occhiata al suo braccio, che a tutta prima avea ritirato, per tema non volesse egli riafferrare il pugnale, e vide grondar sangue dal cavo della mano sul polso.
      - Che importa? - diss'ella, sorridendo.
      E innanzi di ridargli la mano, gittò il pugnale lungi da sè.
      Ella era bella così, nel suo piantoriso, come un lieto raggio di sole attraverso le nuvole, nell'aria ancor madida degli ultimi spruzzi del nembo. Era bella nel gaudio della sua vittoria, nel sublime conforto di aver salva la vita di Giacomo, di aver veduto nel suo disperato proposito una certa testimonianza d'amore e di avergliene dato un'altra a sua volta nell'ardimento con cui ella, timida fanciulla, rifuggente dal lucicchìo delle armi, gli aveva strappato il pugnale, insanguinando in quella lotta le sue povere mani.


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Castel Gavone
Storia del secolo 15.
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1875 pagine 304

   





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