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      Ogni altr'uomo si sarebbe commosso e avrebbe rispettata quella celeste innocenza. Non così Giacomo Pico, anima bieca, indole travolta dalle sue matte ambizioni, cuore inasprito dall'odio, nè più disposto a vedere quel che ci fosse di buono o di santo dintorno a lui, se non per farne pascolo e stromento a' suoi tristi furori.
      Prese la mano della giovinetta e osservò la ferita. Vedevasi attraverso il sangue sparso una scalfittura pel largo della palma, e appariva essere stata fatta dallo scorrere della lama lungo le carni invano ristrette per trattenerla.
      Prese quella mano, dico, la osservò un tratto, indi con moto rapidissimo se la recò alle labbra, suggendo avidamente quel sangue.
      La Gilda tentò di ritrarsi, ma non le venne fatto.
      - L'amore è una dolce schiavitù; - le disse allora Giacomo Pico, volgendole una languida occhiata, che la turbò nel profondo dell'anima; - il tuo sangue, o fanciulla, ha suggellato il patto della mia sommessione. Per questo sangue, dolce come il più dolce liquore, io ti giuro, amor mio, una eterna obbedienza. Da questo momento sarai tu la regina del cuor mio; così mi assista la sorte, come ho fede che il mio ferro ti conquisterà una corona. -
      Ella non rispose parola; era vinta. Reclinò la sua bruna testa sul petto di lui, nascondendogli così il suo rossore, e facendogli palese il suo smarrimento.
      Giacomo seguitava a parlare. Quel che dicesse, neppur egli sapeva. Nè la fanciulla, venuta in quella confusione, potea più meditare le parole di lui. Ne coglieva il suono indistinto e in quella musica soave le si addormentava ogni spirito di resistenza.


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Castel Gavone
Storia del secolo 15.
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1875 pagine 304

   





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