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      - Vedi che squarcio! E come son ruzzolati! Ne hanno abbastanza, di treggèa; scantonano alla lesta, come gatti scottati dall'acqua calda.
      - Lo credo, io; s'è fatto miracoli; - disse il Picchiasodo ridendo. - La signora Ninetta è una donnina di garbo, e adesso bisognerà darle una secchiata d'acqua, per la sete. A proposito d'acqua, chi diavolo mi parlava dell'Altino?
      - Son io, messere Anselmo; - si affrettò a rispondere il Maso; - sono io, il ragazzo dell'osteria.
      - Ah sì, ora mi ricordo; - ripigliò il Campora; - "fermatevi all'Altino, c'è buona l'accoglienza e meglio il vino". E dimmi, per caso, non ne avresti portato un fiasco di quel buono? E' sarebbe proprio la man di Dio.
      - Gli è tutto andato, messere; - disse il Maso con aria contrita. - Ci avete conciati davvero per le feste.
      - Necessità di guerra; che farci, ragazzo mio? Non dovevate pigliarla a dire con noi; - sentenziò il Picchiasodo, stringendo le spalle. - Ma via, questi non sono discorsi da fare con te. Come sei qua? Ah, perdinci, non ci avevo badato prima; tu se' legato come un cane.
      - Necessità di guerra; - disse di rimando il Maso; - e in verità, son capitato in certe mani....
      - Capisco; - interruppe il buon capo dei bombardieri; - e tu ameresti ora cambiar di padrone. Andate, voi altri; - soggiunse poscia, voltandosi ai due balestrieri che accompagnavano il Maso; - questo prigioniero rimane con me. -
      Il Maso diede una rifiatata di contentezza. Ma quei due non si muovevano ancora.
      - Messere, - entrò a dire il Tanaglino, - la corda di balestra con cui è legato, mi appartiene.


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Castel Gavone
Storia del secolo 15.
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1875 pagine 304

   





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