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      Ora, che doveva egli fare? Svignarsela dal campo nemico, per dar l'avviso nel Borgo? Questo era un punto difficile; ma il nostro giovinotto non ci vedeva niente d'impossibile. Ci avrebbe pensato, e al postutto, avrebbe tentato. Ma egli non poteva ancora pensarci; ma egli non sapeva ancor tutto. Aveva capito che nel Borgo c'era una fazione avversa ai signori del luogo e al proseguimento della guerra; aveva capito che il Sangonetto e lo Sturlino, il Marchelli e il Battaglia, il Giudice e il Valle, il Campi, il Cavazzola e il Bardineto, congiuravano per dare la terra ai genovesi. Ma ciò non bastava ancora. In che modo contavano essi di darla? Questo era il busilli; questo bisognava sapere; e per saper questo bisognava tornare laggiù contro l'assito della capanna, ad origliare la conversazione del Sangonetto col Campora.
      Come venirne a capo? A tornar là, ci risicava la vita; e questo sarebbe stato il meno, per un ragazzo animoso com'egli, se, risicando la vita, non avesse anche risicato di non portare più niente all'orecchio degli assediati. Ci voleva dunque giudizio ed audacia, audacia e giudizio, due cose che tra gli uomini, come tra i popoli, sogliono andare così poco d'accordo.
      Il Maso ci si provò. Quello che l'esperienza il più delle volte non dà, lo aspettava egli dalla fortuna. Era giovine, e la fortuna li ama, questi benedetti giovani. Suvvia, dunque; il Maso si tolse di dietro al carro, non senza aver dato una prudente sbirciata per mezzo alle ruote, e con passo leggiero, ma in apparenza sbadato, colle mani in tasca e gli occhi in guardia, andò incontro al pericolo.


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Castel Gavone
Storia del secolo 15.
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1875 pagine 304

   





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