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      - replicò il Falamonica, che così avea nome il paggio. - Va là, buono a nulla; per colpa tua si perderà un'ora di tempo, e le ripassate toccheranno a me. -
      Frattanto si accostava al murello e guardava a sua volta nel pozzo.
      - Ah, manco male! - soggiunse. - La secchia non ha bevuto e galleggia. Ora dimmi, bertuccione; come faresti tu a cavarla dell'acqua?
      - To'! disse il Maso. - La bocca del pozzo non è troppo larga; mi calo dentro, aiutandomi colle mani e coi piedi...
      - E dai un tuffo anche tu, babuasso! - interruppe il Falamonica. - Il guaio non sarebbe dei grossi, per verità; ma tu potresti, nell'affogare, mandarmi al fondo la secchia. Per fortuna, il mio diavolo la sa più lunga del tuo. Stammi a vedere ed impara. -
      Così dicendo, il Falamonica trasse di tasca la corda di ricambio della sua balestra; l'annodò con quell'altra, che aveva avuto cura di spiccare dai due capi del suo strumento di guerra, e v'adattò in fondo il crocco, che era il gancio del martinello con cui si caricavano le balestre, e serviva a tender la corda fino a quel punto del fusto, o teniere, che dir si voglia, dove s'incoccava la freccia.
      Il pozzo non era molto profondo, e il Falamonica, così ad occhio, aveva misurato lo spazio che gli bisognava percorrere con quella ságola posticcia. Le due corde annodate bastavano, solo che egli si curvasse un pochino sull'orlo del pozzo, per calare il crocco fin sotto l'anello della secchia, che si dondolava beatamente sul pelo dell'acqua.
      - Ripesco io? - disse il Maso, offrendosi a quella fatica.


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Castel Gavone
Storia del secolo 15.
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1875 pagine 304

   





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