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      Tommaso Sangonetto se ne sentiva già correre l'acquolina alla bocca.
      Il vento, che scendeva impetuoso dalle gole dei monti, cogliendo di fianco i notturni viandanti, non consentiva loro di correre così spediti come avrebbe desiderato messer Pietro; il quale venia dietro alle schiere, col Campora a lato, e tutto chiuso nel suo mantello, per non dar nell'occhio ai soldati, che dovevano vederlo soltanto ove ciò fosse stato mestieri. Per altro, se il vento rallentava il corso della gente, toglieva altresì che si potesse dall'alto udire il rumore dei passi e lo strepito delle armature.
      Le prime ordinanze giunsero per tal guisa sotto alla beltresca che comandava il sentiero, deludendo la vigilanza del soldato di guardia, il quale fu colto nel suo aereo covo, prima che avesse potuto dare ai lontani compagni il grido di sveglia.
      Povero Maso! Imperocchè gli era lui, proprio lui, piantato là, come Olimpia sullo scoglio, dal suo vecchio principale. Mastro Bernardo, tutto all'incarico che gli aveva commesso la sua bella nipote, nonchè andarlo a rilevare, non si era più ricordato di lui.
      - Povero a me! - disse il Maso in cor suo.
      E crebbe la sua giusta paura, allorquando, dietro a quella lunga processione di ombre che gli sfilava da vicino, gli parve di udire la voce del Campora, che sollecitava i più tardi.
      - Son fritto! - soggiunse egli, a mo' di conchiusione, mentre due di quei manigoldi lo veniano legando per bene, come già avevano fatto tre giorni addietro il Tanaglino e il Vernazza.
      La masnada frattanto si accostava con passo guardingo alle mura.


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Castel Gavone
Storia del secolo 15.
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1875 pagine 304

   





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