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      .. ti dico. - soggiunse il morente, con voce sempre più fioca. - Vile... tre volte vile! -
      Così dicendo, girò attorno gli occhi smarriti, come cercando la luce che gli sfuggiva. Mosse ancora le labbra, balbettando parole confuse; allungò le braccia quasi volesse trattenersi anche un istante tra i vivi; indi reclinò il capo sul petto e stramazzò, colle membra prosciolte, sul pavimento. Giacomo Pico era morto.
     
     
     
      CAPITOLO XVI.
     
      Nel quale si narra come la signora Ninetta al disonore preferisse la morte.
     
      È tempo di dire, poichè vien proprio a taglio coi fatti che abbiamo raccontati pur dianzi, da che avesse origine quel tafferuglio, che aveva distolto da un ufficio di cortesia Don Giovanni di Trezzo.
      Mastro Bernardo, coll'amico Antonio Cappa e colla sua compagnia di finarini, s'era avviato per l'erta di castel Gavone, come aveva promesso alla Gilda. Pervenuto, con quella maggior sollecitudine che gli era consentita dalle tenebre, dal vento impetuoso e dalla asprezza del cammino, sotto alla macchia dei roveri, aveva udito il grido straziante di soccorso, che, come i nostri lettori già sanno, era stato gettato da madonna Nicolosina. A lui, per altro, era parso di riconoscere la voce della sua bella nipote. Rispose, con quanto fiato ci aveva in corpo, e pensò di essere udito; senonchè, quel rovaio indiavolato, che a lui portava i suoni dall'alto, impediva che giungesse la sua risposta lassù. Ma questo era il meno; giungere bisognava, e mastro Bernardo e il Cappa, sollecitati i loro uomini, s'inerpicarono di buona gamba per la costiera, e trafelati, ma contenti d'aver fatto quanto era in poter loro, afferrarono la cima del poggio.


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Castel Gavone
Storia del secolo 15.
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1875 pagine 304

   





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