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      Tra queste ed altre cure simiglianti, giunse il mattino, lieto per gli uni, doloroso per gli altri, siccome avviene pur troppo di tutti i giorni dell'anno. Anselmo Campora era già sulla spianata davanti al castello, per mettere in sesto la signora Ninetta ed alcune bombardelle tirate in fretta lassù dal battifolle di Pertica, mentre i soldati di Trezzo e i mastri di legname, sparsi nei dintorni, lavoravano ad asserragliare il poggio dalla parte del Borgo. Lavoro arrangolato e sollecito, poichè si temeva che da un momento all'altro potessero i finarini tentare un colpo disperato sull'erta.
      - Aspettate; - diceva il Picchiasodo; - or ora manderemo a quegli ostinati una nespola del nostro orto, e saprà loro d'acerbo. A proposito, s'ha a far giustizia di quell'altro. Ohè, Falamonica(21), dov'è il prigioniero?
      - Sotto chiave nei fondi del castello, come avete ordinato; - rispose il Falamonica, che i nostri lettori avranno creduto morto, laddove egli non aveva preso che un bagno freddo.
      - Orbene, vallo a pigliare e portalo qua. Quell'altro ha già avuto il fatto suo dalla donna; al suo degnissimo sozio glielo daremo noi, in lire, soldi e danari. -
      Poco stante, un drappello di soldati conduceva sulla spianata Tommaso Sangonetto, il prode Sangonetto, bianco il volto come un cencio(22) lavato, e già più morto che vivo.
      - Messer Pietro mi ha posto un bel carico sulle braccia! - borbottò il Campora, vedendo giungere quel disgraziato. - Che vi pare, amico Giovanni? S'ha proprio a caricarne la bombarda, di quel batuffolo di stracci?


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Castel Gavone
Storia del secolo 15.
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1875 pagine 304

   





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