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      Ma si vedeva Monterotondo, o piuttosto s'indovinava che fosse Monterotondo, dai lampi e dal rombo delle artiglierie, che incominciavano a farsi sentire. Guardavo laggiù, aspettando che le compagnie avessero finito di bere. Due soldati, frattanto, in un campo sotto i miei occhi, seguivano certi movimenti del terreno, che si andava alzando via via in una linea serpeggiante. Era facile indovinare che fosse: una talpa. I due soldati, puntando le baionette, da un capo e dall'altro della terra smossa, volevano chiuder la strada alla roditrice sotterranea.
      - Perchè fate ciò? - domandai. - Sentite laggiù? Fra un'ora ci saremo anche noi, e potremo lasciarci la pelle. Morituri, lasciamo vivere quella povera bestia.
      - Devastano i campi, le talpe; - mi rispose uno di loro.
      - E lasciate che devastino. Ce ne vorrei trecentomila, a Falconara, e che non lasciassero in piedi un gambo di grano o un piede di vigna. -
      Così fosti salva, o povera talpa di Falconara. Possa tu aver provate le gioie della famiglia, ed essere stata consolata di numerosissima prole!
      Digiuni di cibo, a mala pena rinfrescati dal vin cotto della cantina sotterranea, si va, si accorre al cannone. A mezza strada c'imbattiamo in un contadino che fugge.
      -Che c'è? - gli domandiamo.
      - Garibaldi jè dà 'na bella battuta; - ci risponde, seguitando a correre.
      - Buone notizie! perchè dunque scappi così?
      - Io non scappo, torno a casa. -
      E via come il vento. Lo lasciamo andare, facendo un po' come la guardia svizzera del Vaticano a cui (se la leggenda è vera) avevano data la consegna di non lasciar entrare nessuno.


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Con Garibaldi alle porte di Roma
1867 - Ricordi e note
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1895 pagine 159

   





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