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      Un altro assalto, un'altra fiammata avrebbe dovuto snidarli; ma oramai la difesa poteva durar poco; pių per guadagnar tempo ed agio alla resa, si erano rinchiusi, che non per vender cara la vita. Due ore dopo, incalzati in quell'ultimo covo, gridarono di volersi arrendere. A discrezione, per altro; cosė voleva Garibaldi, che fu poi generoso, e li rimandō tutti (erano forse quattrocento) al confine italiano.
      Quella mattina, all'alba, vedemmo Garibaldi in tutta la gloria del suo trionfo. Era venuto sopra un piazzale, e sedeva sopra un muricciuolo, donde si scopriva la campagna verso il Tevere. Indossava la camicia rossa e i calzoni bigi chiari, affondati nelle trombe degli stivali alla scudiera, in una delle quali era collocato un lungo stile, dalla guaina e dalla impugnatura gentilmente cesellata. Quel gingillo era la sua misericordia; certo, in un brutto frangente ne avrebbe usato, non volendo esser preso vivo da soldati del papa. Portava sulla camicia il suo poncho, non quello di panno grigio della campagna antecedente in Tirolo, che era nel fatto, e salvo poche modificazioni, un mantello di cavalleria; ma un poncho americano autentico, di stoffa a colori, vergato di rosso e di azzurro, che io non so come l'arte scultoria non ami ritrarre pių spesso, tanto č elegante di caduta e di pieghe. Non aveva il solito cappello catalano, dalla falda arrovesciata tutto intorno alla testiera e foderata di velluto; portava invece un cappello alla calabrese, di feltro nero, finissimo, contornato d'un largo nastro di seta.


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Con Garibaldi alle porte di Roma
1867 - Ricordi e note
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1895 pagine 159

   





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