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      Era di lieto umore; la vittoria colorava d'un tenero incarnato il suo viso, negli ultimi anni un po' cereo; la barba aveva ancora bionda, con riflessi dorati, il labbro vermiglio, dolcissimo, e il sorriso affascinante come la voce. Dal 1860, quando egli era a Genova, per preparare la spedizione di Sicilia, non avevo mai più veduto Garibaldi così giovane, così vivace nell'aspetto, così poeticamente bello.
      Erano intorno a lui Menotti e Ricciotti, Stefano Canzio ed altri ufficiali superiori. Egli riposava un istante, e riposando speculava tutto intorno la campagna. Noi, ottenuto l'abbraccio ch'egli dava volentieri ai suoi Genovesi, tornammo al nostro primo alloggiamento della cascina Villerma, dopo aver raccolti i nostri morti e i nostri feriti. Avevamo avuto una ventina d'uomini fuori combattimento. Ma io, prima di ritornare alla cascina Villerma, ero anche andato al convento di Santa Maria, tramutato in ospedale, per vedere il colonnello Mosto e il capitano Uziel, feriti; l'ultimo dei quali aveva allora allora mandato attorno un compagno d'armi a chieder notizie di tutti gli amici: dolce pensiero e solenne curiosità di morente!
      Povero Uziel! Avevano potuto trasportare mezz'ora prima in una casa privata il suo comandante Antonio Mosto; lui no, che la ferita, gravissima per la posizione e non ancora esplorata, non permetteva di levarlo dalla paglia su cui era stato deposto. Mi vide, e i suoi occhi morati brillarono, e un sorriso gli sfiorò le pallide labbra ombreggiate da baffettini neri, tanto più neri su quel viso smorto.


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Con Garibaldi alle porte di Roma
1867 - Ricordi e note
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1895 pagine 159

   





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