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      Più tardi, il vederlo resistere, mercè la sua vigorosa complessione, ai naturali progressi del male, lasciò credere che Giuseppe Uziel avrebbe potuto scamparla. Esplorata la ferita, tre giorni dopo la mia visita, anch'egli era stato trasportato in una casa privata, dove lo seguivano le amorevoli cure di due compagni d'armi, e donde ogni giorno uscivano parole di speranza a confortare gli amici.
      La mente dell'infermo era tutta agli eventi, alle fasi della campagna, ad ogni più minuto particolare dei fatti quotidiani. Noi, come e quando lo permettevano le distanze e gli obblighi del servizio, facevamo or l'uno or l'altro la trottata fino a Monterotondo, per vedere il povero Bepi. Come si colorava il suo viso smorto, come si ravvivavano i suoi occhi languidi, udendo che i nostri fuochi splendevano davanti a Roma, dalle alture di Marcigliana e di Castel Giubileo, e che Garibaldi si era spinto sul monte Sacro, coi due battaglioni genovesi, di contro alle porte della fremente città!
      Sapeva di esser condannato a morire; sorrideva incredulo ai pietosi pronostici; l'ultima cosa di cui si dèsse pensiero, sebbene gli dolesse atrocemente, era la sua triste ferita. E ne diede una nobile testimonianza nella sera del 3 novembre. L'atto suo, le parole, furono di uomo dei tempi antichi, allorquando pugnavano Epaminonda e Pelopida, cantava inni Tirteo e dettava istorie Tucidide.
      Mentana era perduta per noi. Dodici O quattordici migliaia di combattenti, bene armati, bene equipaggiati, muniti di artiglierie, non lasciati soli, nè sconfessati dai loro governi, soverchiavano i duemila intrepidi che tennero fermo al fianco di Garibaldi.


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Con Garibaldi alle porte di Roma
1867 - Ricordi e note
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1895 pagine 159

   





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