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      Garibaldi si è fermato là, col cavallo; non ci sarebbe dunque, modo di passare. E nondimeno la fiumana dei fuggenti riesce a dilagare intorno a lui, scavalcando e magari rompendo le siepi. Ogni buon volere è impossibile, superato e travolto ogni ostacolo; grande fortuna se quella paura potrà rallentarsi più indietro, essere ravviata, trasformata ancora in eroismo. Garibaldi tenta ancora questo miracolo, mentre lo seguono i suoi ufficiali, in parte appiedati. Vedo Menotti, a cui è stato ucciso il cavallo, ferito egli stesso alla coscia, venire in giù, torbido nel viso, colla sua rivoltina nel pugno. Quello almeno va al passo, come piace al De Roa. Anch'egli dopo qualche istante si ferma, volendo opporre qualche manipolo di volenterosi all'avanzar del nemico. Si esce dalle siepi, si formano quadriglie, si riprende la fucilata. Dalla parte nostra son due brandelli di compagnie: le altre due, o i brandelli delle altre due, rimasero al maggiore Burlando entro Mentana, Su noi il nemico vien lento, ma senza esitanza; facendo le quadriglie, fermandosi una a sparare, poi l'altra venendo innanzi a coprirla, e così via: regolarità di movimenti che ammazza!
      E ancora bisogna indietreggiare. Oramai si fa il colpo di fuoco per l'onore, non più per la speranza di vincere. Ad un certo punto c'è da saltare una ripa; si casca gli uni sugli altri; io sotto a parecchi, e temo, al dolore acuto che provo, di essermi spezzata una gamba. Non è niente; sono un po' indolenzito, ed anche ferito, poichè sono caduto sul filo della sciabola, che tenevo impugnata colla sinistra, sotto la guardia.


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Con Garibaldi alle porte di Roma
1867 - Ricordi e note
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1895 pagine 159

   





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