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      Ci sarebbero volute ore ed ore, a raccogliere quella gente; e neanche, dopo tanti esempi dolorosi, era da sperare che si potesse venirne a capo.
      La sera intanto è venuta; segue la notte, scura per il cielo nuvoloso, e dei tre battaglioni invocati non si ha nuova nè canzone. Ad ora tarda, dopo avere inutilmente specolato dalla torre del castello Piombino, Garibaldi si arrende alla evidenza delle cose, ai consigli di tutti i suoi ufficiali, e comanda la ritirata.
      Ne avemmo notizia anche noi, avanzi dei due battaglioni genovesi, che ci eravamo raccapezzati alla meglio, nel trambusto del momento, e stavamo pensando per l'appunto a mandare qualcheduno di noi per chiedere istruzioni al comando. Ci avviammo allora alla piazza maggiore del paese, dov'era tuttavia la carrozza del Generale, che per aiuto nostro riuscì a passare da porta Pia, allora allora asserragliata di botti. Nella carrozza non era Garibaldi, per altro; c'era Alberto Mario, sottocapo di stato maggiore, il capitano Adamoli e il padre di lui, vecchio patriota, venuto proprio quel giorno ad abbracciare il figliuolo; finalmente ci avevo preso posto io, per cortesia di Alberto. I miei commilitoni genovesi venivano intorno; furono essi che disfecero la barricata, o almeno quel tanto che fosse necessario per lasciar passare la carrozza.
      La discesa fu triste; non parlava nessuno. Sulla pianura, oltrepassata di poco la stazione della strada ferrata, raggiungemmo una cavalcata ugualmente taciturna, avviata come noi al confine.


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Con Garibaldi alle porte di Roma
1867 - Ricordi e note
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1895 pagine 159

   





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