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      Il poveretto fu preso da una grossa paura e cadde tramortito sull'erba, dove si trovò, con suo grande stupore, la mattina seguente.
      - Ho capito, Biagio, ho capito. E voi dovreste farne una ballata. Dovevate essere notaio; dovreste esser anche poeta. I notai, da ser Jacopo da Lentino in poi, ebbero sempre commercio con le Muse. Fate dunque la vostra ballata, mio caro Biagio, ed abbia per titolo: Le nozze del diavolo. Ma qui c'è il prato del Diavolo, e ci dev'essere la storia per dar ragione delle nozze. -
      Biagio, allora, con assai più gentilezza che non ne meritassero i miei frequenti motteggi, mi raccontò la leggenda del prato del Diavolo, com'egli l'aveva avuta dalla tradizione orale de' suoi vecchi.
      Era una storia di falciatori, che si erano messi in quattro a falciare quel prato, giustamente pensando che quattro giorni sarebbero stati a mala pena bastanti per mandar l'opera a compimento; laddove uno solo, il diavolo in persona, falciava l'intero prato nello spazio di un'ora.
      Questo, io lo capivo benissimo, sapendo di quali forze soprannaturali disponga il personaggio. Ma in verità mi pareva strano che il diavolo si fosse scomodato così, per far la burletta a quattro poveri contadini; e borbottavo tra i denti, ascoltando la leggenda di Biagio, il precetto oraziano: Nec deus intersit, nisi dignus vindice nodus....
      - Forse, pensavo ancora, questa intromissione del diavolo in una faccenda di puro ordine campestre, dimostra la scarsità delle idee di quell'umile classe in cui la favola è nata; forse dimostra che vita di stenti questi poveri volghi agresti fossero costretti a condurre, sotto la dura legge dei loro signori, o dei castaldi che i signori preponevano allo sfruttamento delle terre e degli uomini della gleba.


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Il prato maledetto
Storia del X secolo
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1909 pagine 213

   





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