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      La vita pei contadini era molto dura, a quei tempi. Non erano veramente schiavi per diritto di conquista, come sotto il dominio dei Longobardi; ma erano di fatto servi della gleba, poichè sulla terra vivevano, senza potersi muovere da quella; tanti erano gli obblighi loro verso il padrone, anzi peggio, verso parecchi padroni ad un tempo; come a dire il feudatario, il gastaldo, il vescovo, il monastero. Sovra tutti costoro era un padrone più forte, l'imperatore; poco disposto a favorirli, a proteggerli, quando era lontano; dispostissimo ad angariarli, quando per disgrazia loro veniva a passare sul territorio. Aggiungete il difetto di comunicazioni tra regione e regione, poichè le strade romane erano state distrutte, per custodirsi da barbari settentrionali o da pirati del mezzogiorno; la poca sicurezza dei luoghi, infestati da bande di malfattori; la diffidenza cresciuta tra popolo e popolo; la necessità finalmente, di tenersi stretti insieme tra abitanti di un medesimo borgo, all'ombra sinistra ed uggiosa, ma pur sempre custoditrice, di un castello padronale.
      Così vivevano, e male, faticando assai, pagando a parecchi, temendo di pagare ogni anno di più, e a maggior numero di potenti. Non avevano che una speranza, per allora, e la esprimevano tra due sospiri, in una frase malinconica:
      - Finirà il mondo, so Dio vuole, ed esciremo di guai.
      Non vi ho detto, e vi dico ora, che correva l'anno 990, e ne mancavano ancora dieci al compimento della profezia.
      Veramente non si dovrebbe dir profezia, ma piuttosto interpretazione troppo letterale del ventesimo capitolo dell'Apocalisse, dove l'apostolo Giovanni vide dopo mill'anni essere sciolto Satana dalle sue catene, libero di sedurre da capo le genti, per esser poi cacciato egli stesso nel fuoco, da cui le genti illuse e corrotte dovevano essere divorate.


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Il prato maledetto
Storia del X secolo
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1909 pagine 213

   





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